Gertrud Schwing, infermiera psicoanalista, lavora negli anni '30 con pazienti schizofreniche ricoverate in manicomio. La cura manicomiale dell'epoca non dava per nulla spazio alla relazione tra operatori (medici e infermieri) e pazienti. La Schwing racconta come attraverso un rapporto caratterizzato dall'amore materno e dalla vicinanza lei riuscisse ad essere di grande aiuto alle sue pazienti potenziando con i benefici della relazione anche le primitive cure farmacologiche. i colloqui in presa raccontati con sapiente capacità narrativa, spesso toccanti e commoventi, ricordano anche agli operatori d'oggi quanto sia importante entrare in contatto profondo con i propri pazienti. Dalla prefazione di Tommaso Ferraresi: Il volume è un resoconto toccante e oltremodo attuale del lavoro svolto da Gertrud Schwing, infermiera psicoanalista, prima in analisi e poi in supervisione con Paul.Federn, con pazienti “gravi†di sesso femminile ricoverate in una clinica universitaria.
Il contesto storico di allora (1937/38) relegava i pazienti psicotici e non solo, nelle istituzioni manicomiali con trattamenti prevalentemente di custodia e ben poche risorse in ambito farmacologico.
Quello che da subito colpisce nel lavoro di Gertrud Schwing è l'attenzione nei confronti dell'individuo che diventa il centro della cura: una riflessione attenta e accurata all'esperienza soggettiva.
Ci vengono presentate molteplici forme della sofferenza psicotica, con le loro differenze etiopatogenetiche, nosografiche e psicopatologiche.
Il lettore incontrerà la messa in opera di una relazione duale come tentativo indispensabile per cercare di comprendere e curare la follia; un avvicinarsi ad essa con rispetto e curiosità .
Colpiscono l'attento sguardo psicopatologico ma anche il tentativo di cimentarsi con questa o quella paziente, senza arrestarsi davanti al dilemma riguardante la trattabilità o possibilità di cura.