Giappone, seconda metà del IX secolo. Il vecchio principe Takaoka salpa per raggiungere
l’India, terra mistica dove nacque Siddharta e dove crede sia tornata l’anima
di Fujiwara Kusuko, la conturbante concubina che aveva illuminato i giorni della
sua infanzia. Takaoka attraversa terre e fantasie remote, strane architetture, donne
ovipare fecondate dalla folgore, mummie di brahmani sparse nel deserto, cinocefali
costretti al celibato e un parco di tapiri dove il principe dovrà immolare i propri sogni.
Museo immaginifico d’avventure e filosofie lontane, le Cronache di Shibusawa si
presentano come un fantasy pervaso d’avventura, erotismo e nonchalance buddhista,
ricco d’immagini e colori degni di un cinema verbale. Tale potenzialità espressiva è
ribadita dalle numerose trasposizioni cui il testo è stato sottoposto - rotoli miniati,
tempere, bunraku (teatro dei burattini giapponese), opere teatrali, sinfonie - confermando
un’anima potente capace di prestarsi a espressioni disparate. Variante asiatica
del Gulliver swiftiano, piccola Odissea risolta in un cerchio che ignora l’espediente
del ritorno, quest’opera è un canto di conoscenza, un amore mai detto, un inno
malinconico e naïf alla vita che non può finire.