«Uno dei motivi che hanno insistentemente attraversato la letteratura europea dal tardo Medioevo al Barocco avanzato è quello dell’instabilità della fortuna («fortuna labilis»): mutuato dalla letteratura latina, trovò paradossalmente un pregnante riferimento simbolico proprio nella contemplazione delle rovine di Roma antica. […] Fu tuttavia l’epigramma latino in distici elegiaci Roma Prisca – pubblicato a Roma nel 1553 […] – dell’umanista siciliano Giovanni Vitale, conosciuto come Giano Vitale o Janus Vitalis […], a imporre il tema vero e proprio della grandezza e decadenza di Roma antica come paradigma dell’umana fortuna. L’epigramma ebbe un successo e una diffusione straordinaria, e fu tradotto o imitato in tutta Europa: se ne conoscono almeno undici versioni in cinque lingue, a partire da quella francese di Joachim du Bellay (1522-1560)» che presentiamo qui insieme a quelle di Edmund Spenser (ca. 1552-1599) e Francisco de Quevedo y Villegas (1580-1645).