Due giovani sposi e il loro cane di taglia media, vengono uccisi nel loro appartamento. Il commissario Scitter raccoglie indizi e formula ipotesi con la sua peculiare tecnica: metodo e pignoleria. Dopo svariate ricerche e interrogatori desume chi sia il colpevole, ne ipotizza persino il movente, ma senza prove non lo può arrestare. Le indagini, a un certo punto, sembrano arenarsi. Crede, sfumi la possibilità di mettere le manette all’assassino. Si sente esausto e avvilito. Nel momento in cui tutto appare chiuso e irrisolvibile, di punto in bianco, un qualcosa che sta sottocoperta, si muove, e punta il dito verso una persona diversa da quella da lui pensata. Una prova la incastra. Il quadro ideale che aveva immaginato e ancora immagina resta incompiuto. Non demorde. Continua a indagare senza sosta. Le cose, come sa bene, non sono mai come appaiono. Il suo fiuto investigativo lo conduce verso il soggetto dall’apparenza mite che sembra insospettabile, e che aveva ritenuto colpevole sin dall’inizio delle indagini. Infatti, i dialoghi tra lui e il colpevole, in più di un’occasione prendevano strane pieghe. L’omicida dapprima nega, poi messo alle strette da prove concrete, racconta in sequenza i fatti accaduti e il motivo che l’ha spinto a uccidere.
